Il 9 maggio di quest'anno è stata la "Giornata della memoria dedicata alle vittime del terrorismo", in tale occasione il Presidente della Repubblica ha voluto celebrare la memoria delle vittime dei cosidetti anni di piombo e in particolar modo ha dedicato il suo discorso ai magistrati che nel periodo tra gli anni '60 e gli anni '80 sono morti perchè svolgevano il loro lavoro con coscienza e coerenza, animati da un senso del dovere e di "attaccamento alla libertà, alla legalità, ai principi costituzionali della convivenza democratica" (Presidente G. Napolitano).
Questa celebrazione è avvenuta subito dopo l'episodio ignomignoso dei cartelli affissi a Milano in cui campeggiava lo slogan "Via le BR dalle Procure", ma questo fatto che, giustamente, si è portato dietro uno strascico di polemiche è stato per me e, credo anche per altri, l'occasione per meditare su un periodo della storia dell'Italia che pur essendo temporalmente vicino è allo stesso tempo lontanissimo perchè se ne parla poco, perchè molti processi si sono risolti con un nulla di fatto perchè viviamo in un Paese in cui si tendono a dimenticare o a cercare di dimenticare tante cose.
Ho così riprenso un bel libro pubblicato qualche anno fa che non ero riuscita a terminare : "Eroi come noi" di Giovanni Minoli con Piero Corsini. In questo libro, che si basa anche sulle trasmissioni de La storia siamo noi, si ripercorrono le storie di alcune persone che sono diventate protagonistie loro malgrado, del periodo più violento della storia recente del nostro Paese: due giudici Vittorio Occorsio e Mario Amato che a Roma indagavano sui movimenti eversivi della destra; Emilio Alessandrini che a Milano come magistrato indagò sul terrorismo di sinistra; Guido Rossa che era un operaio e lavorava in fabbrica e che denunciò un suo collega che distribuiva volantini per le BR , il giornalista Walter Tobagi che raccontava la società in cui agivano i terroristi e infine in anni più recenti Massimo D'antona e Marco Biagi entrambi studiosi di diritto del lavoro che hanno collaborato in tal senso con Governi di entrambi gli schieramenti.
Nel rileggere il testo di Minoli mi sono ricordata del perchè lo avevo lasciato a metà: non perchè non fosse interessante ma per il senso di claustrofobica angoscia che mi dava leggere di quella storia così recente in cui la violenza, il sangue, le armi avevano falciato la vita di tanta gente e di come alcuni di coloro che hanno combattuto per contrastare questa deriva così terribile siano stati lasciati soli: che abbiano dovuto affrontare quasi come se fosse ineluttabile il loro destino, come la cronaca di una morte annunciata.
Tanto che leggendo viene come il desiderio di entrare in quelle vicende e di riscriverle perchè sembra tutto senza senso: eppure ad ascoltare quelli che a destra o a sinistra hanno attuato la lotta armata il senso c'era lì, in quei momenti l'insoddisfazione di una società, la ribellione di una generazione... solo che dopo il senso si perde e le motivazioni ideologiche sembrano diventare impalpabili come la nebbia che impedisce di vedere chiaramente.
Non ho una conoscenza storica e sociologica tale da poter giungere a delle conclusioni o a tratteggiare con chiarezza quei momenti, ciò che ne ho tratto è che bisogna sapere ciò che ci accade intorno, pensare prima di parlare, specie se si è degli uomini pubblici, perchè le parole hanno un peso specifico non sono aria e come scrive in un brano, riportato nel libro, Adriano Sofri a proposito del clima di quegli anni : " ...c'è una specie di idea condivisa, secondo cui le parole non sono pietre. Dunque, che con le parole ci si può spingere all'estremo, e che anzi, spesso questo è una barriera che impedisce di passare ai fatti. Però è vero anche il contrario: che a un certo punto, le parole prendono la mano di chi le pronuncia e si traducono in fatti, anzi esigono da chi le grida di avere una specie di coerenza, di consequenzialità...".
E infine ricordare perchè "Chi dimentica la storia è condannato a riviverla" (frase scritta sul cancello di Auschwitz citata da Minoli).
Questa celebrazione è avvenuta subito dopo l'episodio ignomignoso dei cartelli affissi a Milano in cui campeggiava lo slogan "Via le BR dalle Procure", ma questo fatto che, giustamente, si è portato dietro uno strascico di polemiche è stato per me e, credo anche per altri, l'occasione per meditare su un periodo della storia dell'Italia che pur essendo temporalmente vicino è allo stesso tempo lontanissimo perchè se ne parla poco, perchè molti processi si sono risolti con un nulla di fatto perchè viviamo in un Paese in cui si tendono a dimenticare o a cercare di dimenticare tante cose.
Ho così riprenso un bel libro pubblicato qualche anno fa che non ero riuscita a terminare : "Eroi come noi" di Giovanni Minoli con Piero Corsini. In questo libro, che si basa anche sulle trasmissioni de La storia siamo noi, si ripercorrono le storie di alcune persone che sono diventate protagonistie loro malgrado, del periodo più violento della storia recente del nostro Paese: due giudici Vittorio Occorsio e Mario Amato che a Roma indagavano sui movimenti eversivi della destra; Emilio Alessandrini che a Milano come magistrato indagò sul terrorismo di sinistra; Guido Rossa che era un operaio e lavorava in fabbrica e che denunciò un suo collega che distribuiva volantini per le BR , il giornalista Walter Tobagi che raccontava la società in cui agivano i terroristi e infine in anni più recenti Massimo D'antona e Marco Biagi entrambi studiosi di diritto del lavoro che hanno collaborato in tal senso con Governi di entrambi gli schieramenti.
Nel rileggere il testo di Minoli mi sono ricordata del perchè lo avevo lasciato a metà: non perchè non fosse interessante ma per il senso di claustrofobica angoscia che mi dava leggere di quella storia così recente in cui la violenza, il sangue, le armi avevano falciato la vita di tanta gente e di come alcuni di coloro che hanno combattuto per contrastare questa deriva così terribile siano stati lasciati soli: che abbiano dovuto affrontare quasi come se fosse ineluttabile il loro destino, come la cronaca di una morte annunciata.
Tanto che leggendo viene come il desiderio di entrare in quelle vicende e di riscriverle perchè sembra tutto senza senso: eppure ad ascoltare quelli che a destra o a sinistra hanno attuato la lotta armata il senso c'era lì, in quei momenti l'insoddisfazione di una società, la ribellione di una generazione... solo che dopo il senso si perde e le motivazioni ideologiche sembrano diventare impalpabili come la nebbia che impedisce di vedere chiaramente.
Non ho una conoscenza storica e sociologica tale da poter giungere a delle conclusioni o a tratteggiare con chiarezza quei momenti, ciò che ne ho tratto è che bisogna sapere ciò che ci accade intorno, pensare prima di parlare, specie se si è degli uomini pubblici, perchè le parole hanno un peso specifico non sono aria e come scrive in un brano, riportato nel libro, Adriano Sofri a proposito del clima di quegli anni : " ...c'è una specie di idea condivisa, secondo cui le parole non sono pietre. Dunque, che con le parole ci si può spingere all'estremo, e che anzi, spesso questo è una barriera che impedisce di passare ai fatti. Però è vero anche il contrario: che a un certo punto, le parole prendono la mano di chi le pronuncia e si traducono in fatti, anzi esigono da chi le grida di avere una specie di coerenza, di consequenzialità...".
E infine ricordare perchè "Chi dimentica la storia è condannato a riviverla" (frase scritta sul cancello di Auschwitz citata da Minoli).
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