Un paio di giorni fa, mentre stavo finendo un lavoro piuttosto noioso, mi è capitato di ascoltare un programma su Rai Radio Tre dedicato al giorno della memoria in cui veniva intervistata Giulia Spizzichino. La Signora Giulia è romana e, a dispetto della voce molto giovanile, durante la seconda guerra mondiale era una ragazzina che ha vissuto la tragedia delle leggi razziali del '39 e la deportazione di parte della sua famiglia nei campi di concentramento e la morte di alcuni altri suoi parenti alle Fosse Ardeatine.
La sua testimonianza era toccante, come tutte quelle dei sopravvissuti ad un periodo così buio e tremendo della storia contemporanea, e io mi sono commossa in più di un passaggio della sua intervista come quando ha ricordato di un pomeriggio in cui sua madre è andata a prenderla da scuola perchè erano state approvate le leggi razziali e il Preside aveva loro spiegato che lei, Giulia, non poteva più stare con le altre bambine perchè ebrea.
La famiglia di Giulia si è salvata dalle deportazioni del '43 grazie al fatto che suo padre aveva portato la famiglia via dalla città per nascondersi non avendo creduto alla promessa dei tedeschi che, in cambio di una quantità mostruosa di oro alla comunità ebraica di Roma, avevano assicurato che gli ebrei non sarebbero stati toccati.
Dopo la guerra Giulia non si è arresa e negli anni novanta è andata in Argentina a testimoniare affinchè fosse votata l'estradizione di Priebke: ha assistito al processo e alla condanna dell'ormai anziano nazista.
Quello che mi ha colpito e commosso di più è stata la descrizione che la Signora Giulia ha fatto del suo intervento ad una riunione in Argentina: era quasi reticente a parlare di ciò che aveva veduto e vissuto di fronte alle madri dei desaparecidos perchè il loro dolore era terribile e nel ricordare i racconti delle donne argentine le si è spezzata la voce.
Ho pensato : che meraviglia quando il dolore non ti rende egoista, non ti impedisce di entrare in empatia con gli altri, non ti toglie la tua umanità...
Immagino un mondo in cui tutte le persone sentano la sofferenza degli altri esseri umani come la propria, in quei campi di concentramento allora e in quelli che ci sono stati dopo in altre guerre, in altri paesi, nel mondo. Non sono morti i genitori, i nonni, i figli di un popolo ma di tutta l'umanità e la sofferenza patita è la sofferenza di tutti così come la responsabilità di non aver voluto vedere, di non aver lottato abbastanza per impedire l'orrore e' la responsabilità di tutti: chissà che in questo modo non si riesca, tutti insieme, ad alzarci in piedi per respingere le ingiustizie...
3 commenti:
Grazie cara per questo bellissimo post! Una coccola genovese tutta per te :)
Baci
Manu
Anch'io ho seguito questa trasmissione e l'intervista di cui parli.
Ciao,
Miriam
anche a me queste parole hanno toccato il cuore, ancora di più se penso a quanto poco questo pezzo di storia sia conosciuto, ciao Marina
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