L'ultimo film di Spielberg si incentra sulla figura di uno dei Presidenti più carismatici e decisamente fondamentale nella storia degli Stati Uniti d'America: Abramo Lincoln.
In particolar modo la pellicola analizza i primi giorni del 1865 subito dopo l'elezione di Lincoln al seondo mandato quando la guerra di secessione, pur essendo segnata, ancora infuria.
Il Presidente vuole far approvare il 13° emendamento alla Costituzione: l'abolizione della schiavitù, abolizione che era osteggiata sia dagli stati del Sud i quali basavano la propria economia (principalmente agricola) sull'uso degli schiavi sia da una larga parte della società statunitense che abborriva l'idea di una apertura all'uguaglianza razziale.
La modifica alla Costituzione (negli Stati Uniti così come nel nostro Paese) richiedeva e richiede una maggioranza particolare al Congresso e cioè non era sufficiente che la maggioranza che sosteneva l'esecutivo la approvasse, era imperativo trovare un sostegno anche nella parte avversa che all'epoca erano i democratici. E' sulla ricerca dei venti voti necessari all'approvazione dell'emendamento e del sostegno pieno e incondizionato della maggioranza che si incentra la storia del film, il cui ritmo serrato è dovuto al fatto che la votazione doveva avvenire prima della stipula di un trattato di pace con gli stati ribelli. Durante la guerra di Secessione il Presidente aveva avocato a sè dei poteri speciali, in virtù della situazione critica in cui versava il Paese dovuta alla guerra civile: lo stato di guerra legittimava la sospensione o quantomeno la riduzione della sovranità dei singoli Stati a favore di una maggiore concentrazione del potere nelle mani del Presidente che è il capo della federazione degli Stati, ed è su questa base giuridica che Lincoln aveva potuto emancipare gli schiavi neri dal loro stato di asservimento, tra l'altro molti di quegli schiavi, così liberati, avevano combattuto per l'Unione.
Un trattato di pace avrebbe ripristinato la sovranità dei singoli Stati e in quelli in cui la schiavitù era ammessa i neri liberati sarebbero tornati ad essere schiavi perchè la schiavitù non era materia di competenza federale: ecco il motivo di tanta urgenza.
Il film è quindi un film politico, quantomeno per la maggior parte del tempo, la battaglia è politica: trovare i voti a qualsiasi costo! Questo potrebbe far pensare che tutta la trama si basi sul mero calcolo e ciò è vero fino ad un certo punto perchè quando si arriva al momento della votazione, quando il dado deve essere tratto allora lo spettatore viene coinvolto in una spirale di commozione e tensione perchè è della libertà che si sta parlando... della libertà intesa nel senso più primitivo ed essenziale, un valore in senso assoluto.
L'altro aspetto del film che mi è piaciuto e mi ha affascinato è stata la straordinaria capacità interpretativa dell'attore protagonista: Daniel Day Lewis. Potrà sembrare banale dirlo ma è un attore consumato, il personaggio era studiato nei gesti : delle mani, del modo di camminare, di ammiccare e in ciò penso sia merito anche della regia. C'è una scena in cui i Consiglieri e il Segretario di Stato vogliono convincere il Presidente a lasciar perdere questa battaglia per una questione di opportunità politica e lui si oppone fermamente e il no come parola viene dopo il no di tutto il suo corpo...e lo spettatore lo sente, viene investito dall'autorità di quel no!
L'altro aspetto che è stato curato è la figura dell'uomo Lincoln della sua persona, della sua sofferenza come padre, come marito: memorabile è una accesa discussione con la moglie (una straordinaria Sally Field) a proposito del desiderio del loro figlio più grande di arruolarsi, ne emerge l'immagine di una persona che, pur ferita nel profondo, non può e non deve cedere.
Bello.
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