venerdì 26 febbraio 2016

The hateful eight

 
Quando ho saputo del nuovo film di Quentin Tarantino e ne ho visto il trailer mi sono subito incuriosita e riproposta di andarlo a vedere: il film precedente, Django Unchained, mi era piaciuto molto sia per la storia narrata sia per il modo in cui lo era stata. L'immagine dei grandi campi di cotone degli stati uniti del sud, le enormi case coloniali, il fruscio della crinolina dei vestiti femminili, sembrava quasi di sentire l'odore del tabacco fumato dai ricchi, arroganti e quantomai crudeli proprietari terrieri.
La stessa violenza, così volutamente plateale, aveva un suo fine: la descrizione di una società apparentemente civile che nascondeva, neanche troppo in fondo, una crudeltà insensata, l'affermazione della superiortà di una razza sulle altre e anche di una classe sociale empia e senza freni.
Tali soprusi avevano una fine e c'era la possibilità di salvezza: una sorta di vittoria del bene sul male, un percorso di riscatto e liberazione dalla schiavitù, senza buonismi alla Beecher Stowe, poichè l'emancipazione costa lacrime e sangue e non ci sono sconti.
Niente di tutto ciò vi è in "The hateful eight" che è quanto mai distante dal precedente film in primo luogo per l'ambientazione: il gelido inverno delle montagne del Wyoming con le sue raffiche di neve sembra bucare lo schermo e penetrare nelle ossa dello spettatore, io mi ero avvolta nella sciarpa di lana e nel cappotto, e poi i personaggi non cercano riscatto o salvezza ma in qualche modo si crogiolano nella loro deriva morale e l'unico obiettivo è la sopraffazione reciproca senza scampo.
 
Il racconto è suddiviso in capitoli come se si trattasse di un libro ed inizia con la suggestiva ripresa di una diligenza, trainata da un tiro a sei, che attraversa una prateria spazzata dal vento: in mezzo al sentiero vi è un anziano uomo di colore (Samuel L. Jackson) vestito con l'uniforme dell'esercito dell'Unione (gli echi e le rivalità della guerra di Secessione sono ancora molto forti), egli è un cacciatore di taglie accanto ai cadaveri di tre prigionieri che deve portare nella più vicina città per incassare la ricompensa. Chiede un passaggio e scopre che la diligenza è stata noleggiata da un altro cacciatore di taglie molto noto per la sua ferocia, interpretato da un poderoso Kurt Russel, che sta conducendo la sua prigioniera al patibolo: una donna che si rivelerà pericolosa e infida e che lui non esita a picchiare e insultare.
La compagnia si arricchirà, poi, di un altro personaggio il futuro sceriffo di Red Rock la cittadina meta dei due cacciatori di taglie e dei loro prigionieri...vivi o morti!
A causa della bufera incalzante la diligenza dovrà fermarsi per più tempo del dovuto presso un emporio-stazione di posta gestito da una certa Minnie che, però, è momentaneamente assente : è partita insieme al suo compagno lasciando un baffuto messicano a gestire la sua attività in un edificio pieno di spifferi al cui interno hanno trovato rifugio, davanti ad un enorme camino acceso, gli altri misteriosi personaggi che animeranno la vicenda.
Ognuno di questi ha un passato oscuro e ognuno rappresenta un archetipo della società americana moderna : essi sono i poteri e le contraddizioni che dilaniano e si dilaniano in nome del dominio e del controllo incuranti delle conseguenze e attenti solo alla vittoria finale. C'è il futuro sceriffo, il politico, dalla parlantina sciolta e dalla logica stringente che non esita a stringere alleanze con persone diverse mettendo da parte qualsiasi convinzione o principio che non gli siano utili nella pianificazione dell'opportunità immediata.
Il cacciatore di taglie Kurt Russel che in nome della sua autorità, quale braccio armato della legge, si sente in diritto di invadere le vite degli altri avventori cui impone di dichiarare i propri intenti e da cui pretende la cessione delle armi poichè Lui è l'autorità costituita e l'arroganza del suo potere sconfina nella protervia.
Il futuro Boia, interpretato da un ambiguo Tim Roth, che spiega agli ingenui spettatori come senza di lui l'esecuzione delle sentenze rischierebbe di sfociare nella vendetta perchè la giustizia è tale solo se avviene sotto il mantello della legalità e nelle forme che essa prevede... e così via ogni personaggio si presenta ed entra in contatto con gli altri in una girandola di battute e colpi di scena in cui nessuno è innocente perchè non c'è bene su questo palcoscenico ognuno è colpevole e gronda sangue.
A tale proposito Tarantino non si è risparmiato : le scene di violenza e di sangue da un certo punto in poi si susseguono quasi senza soluzione di continuità in maniera ripetitiva, quasi noiosa volutamente noiosa, oserei dire, e mi sono domandata se tale sensazione sia la medesima che si prova nell'ascolto delle notizie belliche dei quotidiani che ci bombardano ogni momento rendondoci insensibili e stanchi al punto da desiderare la fine di tali guerra a qualsiasi costo non importa quali siano le condizioni di resa.
Le chiavi interpretative sono infinite, come delle scatole cinesi, ed ogni avvenimento potrebbe essere il simbolo di una problematica sociale: le armi confiscate, il loro possibile uso improprio al centro di tante battaglie politiche dell'attuale amministrazione americana; una lettera del Presidente Lincoln che richiama i valori della costituzione come matrice comune cui rifarsi...
All'atmosfera "disturbante" del film fa da contraltare la bella e suggestiva colonna sonora di Ennio Morricone che mi sarebbe piaciuto ascoltare anche nelle scene d'interno magari meno parole e più musica e sguardi: Sergio Leone insegna!
Bellissima era pure la fotografia per la quale, non essendo un'esperta, non posso spendere molte parole, nè posso affermare che il film mi sia piaciuto o che sia stato rivelatore ma mi ha fatto pensare molto a come raccontarlo: questo sì!

1 commento:

Clara ha detto...

Grazie per essere passata da me. E grazie per questa bella recensione. Adesso più che mai non posso mancare di andare a vedere il film!