mercoledì 13 novembre 2013

Nati due volte - Giuseppe Pontiggia

Ho comperato questo libro in occasione della commemorazione dei dieci anni dalla morte dell'autore su suggerimento di una mia amica: non conoscevo infatti G. Pontiggia... è stata una rivelazione!
Quello che mi ha lasciato veramente senza parole innanzitutto è stata la prosa di questo scrittore, la proprietà, intesa in senso lato, del linguaggio e della scrittura, l'uso degli aforismi. La mia osservazione sembrerà banale ma non è così scontato al giorno d'oggi trovare degli autori che adoperino le parole e ne pesino il valore profondo e il loro significato: Pontiggia lo fa.
La storia narrata nel romanzo è fortemente autobiografica e racconta del rapporto tra un padre e un figlio fortemente handicappato: nato con il forcipe, infatti, ha subito delle lesioni cerebrali che, pur lasciandolo intellettualmente capace, lo hanno reso spastico. 
Il padre scrive in prima persona del suo rapporto con il proprio figlio, con la malattia e con se stesso di fronte a tutto ciò e nel raccontare non indulge in atteggiamenti di autocommiserazione o in osserazioni patetiche o retoriche, analizza la situazione, gli eventi ad essa collegati con una sguardo così lucido e quasi spietato nei confronti dei propri sentimenti senza nessuna concessione.
Il primo capitolo si apre con i due, padre e figlio, che in centro commerciale saalgono sulle scale mobili e vanno a prendere qualcosa da bere: il ragazzo cade, il padre lo aiuta a rimettersi in piedi, tutti li guardano tra l'imbarazzato e la vergogna, bevono qualcosa e poi riprendono il loro giro e il ragazzo "...procede ondeggiando come un marinaio ubriaco. No, come uno spastico. Si volta per dirmi con voce stentata: << Se ti vergogni, puoi camminare a distanza. No preoccuparti per me>>".
Il racconto si snoda attraverso gli anni fin dal momento della nascita, quando per un errore dei medici si opta per un parto naturale anzicchè per un cesareo, e da lì iniziano ad essere affrontati gli stati d'animo che si susseguono negli anni: di fronte alla fatica del vivere quotidiano, alle mille battaglie, anche per le cose piccole come il reggersi in piedi, all'arredamento di casa che viene stravolto per ospitare il bambino poi ragazzo, poi adulto. I mille compromessi, perchè saresti disposto a tutto pur di aiutare tuo figlio, che sono richiesti in una società in cui la diversità non è contemplabile al punto che la si nega attraverso la negazione, prima di tutto, della normalità, perchè se non c'è nulla di normale spariscono i criteri per valutare anche ciò che si discosta da essa ma in questo desiderio spasmodico di annullare le differnze tra la normalità e ciò che non lo è non si sconfigge la differenza anzi la si rafforza perchè si finisce per adoperare lo stesso metro di misura in circostanze diverse e quindi si aumenta il divario.
Se una persona è più debole per garantirne i diritti (uguali per tutti) è fondamentale trattare questa persona diversamente, tenendo conto delle sue difficoltà. Un ragazzo con un handicap ha bisogno di un insegnante di sostegno per poter frequentare la stessa scuola degli altri ragazzi, in modo tale che gli venga garantito pienamente il suo diritto all'istruzione non è sufficiente permettergli di entrare in classe: non bisogna ignorare le differenze e questo vale "...sia a chi fa della differenza una discriminazione, sia a chi, per evitare una discriminazione, nega la differenza."
Infine, ma non ultimo, mi ha sconvolto la messa a nudo, da parte del padre, dei propri sentimenti nei confronti di una situazione così difficile in un modo così onesto, così rigoroso, tale da non lasciare spazio a nessun sentimentalismo: questo amore paterno messo così a dura prova è però ineluttabile: non si può smettere di amare un figlio anche quando si vorrebbe scappare e alla fine non si può non perchè le circostanze e le regole sociali lo impediscano ma perchè non lo si vuole, perchè significherebbe rinunciare innanzitutto a se stessi, alla propria vita:
"...Penso a quello che sarebbe stata la mia vita senza di lui. No, non ci riesco. Possiamo immaginare tante vite, ma non rinunciare alla nostra. 
Una volta, mentre lo guardavo come se lui fosse un altro e io un altro, mi ha salutato. Sorrideva e si è appoggiato contro il muro. E' stato come se ci fossimo incontrati per sempre, per un attimo."

Nati due volte
Giuseppe Pontiggia
Oscar Mondadori

domenica 10 novembre 2013

Argento vivo di Marco Malvaldi

"Argento vivo" è l'ultimo libro di quel geniaccio di Marco Malvaldi autore, tra l'altro, della serie di gialli ambientata al Bar Lume che ho amato fin dall'inizio e che presto sarà portata sul piccolo schermo da Filippo Timi.
Quest'ultima fatica letteraria ha per protagonisti una serie di personaggi che entrano ed escono dalla scena come se fossero su di un palcoscenico con un ritmo che rende la lettura scorrevole e gli avvenimenti incalzanti.
La trama è quella di un poliziesco: Guido, uno scrittore di successo in procinto di pubblicare il suo ultimo romanzo, e la moglie Paola decidono di concedersi un week-end fuori casa per rilassarsi un poco; una improbabile banda Bassotti deruberà la loro casa portando via, inconsapevolmente, anche l'unica copia del romanzo di Guido salvato su di un computer portatile che però sarà abbandonato dal più giovane e sprovveduto dei ladri nell'auto rubata usata per il furto di proprietà di un giovane informatico: Leonardo.
Quest'ultimo è geniale nel suo lavoro ma non troppo apprezzato dal suo capo e soprattutto è un instancabile lettore che commenta le sue letture, anonimamente, su di un blog. Quale non sarà il suo stupore quando rinverrà nella sua auto, nel frattempo recuperata dalla polizia, il computer di Guido e nel leggerne il contenuto riuscirà ad individuarne l'autore! Ignorando i suggerimenti della moglie Letizia deciderà di restituire l'opera al suo lettimo proprietario in maniera più o meno anonima; l'incontro tra i due sarà rivelatore per entrambi: per Guido perchè troverà in Leonardo un attento editor che lo stimolerà con le sue considerazioni a ritrovare il coraggio di rimettersi in gioco, di affrontare se stesso e di esprimere questa nuova consapevolezza attraverso il suo lavoro.
Sono rimasta particolamente colpita da questo aspetto del romanzo perchè erano riportate le stesse considerazioni che avevo sentito durante un recente festival letterario: in particolar modo sul lavoro di uno scrittore, sul suo rapporto che dovrebbe essere diretto e costruttivo con i propri lettori, sul ruolo di una casa editrice nel curare un'opera letteraria che non è solamente una possibile fonte di guadagno ma l'espressione della creatività e dell'esperienza di uno scrittore e che riveste una fondamentale importanza nella consapevolezza di chi scrive ma anche di chi legge. Esistono delle regole rigorose nell'uso della lingua scritta che debbono essere rispettate perchè le parole hanno un loro peso specifico, naturalmente in Malvaldi questo richiamo all'etica e ad una generale onestà intellettuale è riportata in  un contesto divertente e divertito, così come divertente è la lezione sul valore della punteggiatura:
<<...i segni della punteggiatura non servono solo a dare ritmo alla frase, i segni della punteggiatura sono veri e propri o-pe-ra-to-ri lo-gi-ci. usarli in modo sciatto può letteralmente travisare il significato di quello che pensiamo. Se io dico di una persona " E' juventino. E' una persona di cui non fidarsi" sto dando due informazioni separate, messe in relazione solo dal fatto che mi riferisco alla stessa persona. Se dico "E' juventino; è una persona di cui non fidarsi" è chiaro che le due cose sono in relazione, ma non è chiaro in che relazione stiano... se io invece dico "E' juventino: è una persona di cui non fidarsi" il mio giudizio è chiaro: quella persona è infida in quanto juventina, e stop...>>.

Argento vivo
M. Malavaldi
Sellerio editore Palermo

mercoledì 6 novembre 2013

Renoir a Torino

L'autunno mi è sempre piaciuto per i colori e l'atmosfera di questo periodo, in questi ultimi anni al piacere degli odori e sapori di questa stagione si è accompagnata la meravigliosa abitudine di inaugurare delle stupefacenti mostre che di solito durano fino ai primi di gennaio: anche quest'anno, nonostante la crisi economica e il mondo che sembra andare al contrario, non sono rimasta delusa e infatti a Torino dal 23 ottobre alla GAM le porte si sono spalancate al meraviglioso mondo di Renoir, ai suoi colori, alle sue forme...
Renoir viene considerato insieme a Manet uno dei padri dell'impressionismo e certo nel percorso della mostra è evidente come la ricerca del colore e della rappresentazione della natura en plein air siano presenti nei suoi quadri che sono molti e provengono principalmente da due musei francesi: il Musée d’Orsay e il Musée de l’Orangerie.
Tutta la vita di questo artista, che è stata lunga e anche serena da un punto di vista familiare, è stata dedicata allo studio della natura e delle sue forme e dei colori ma in questo non ha trascurato l'attenzione al disegno che in certi suoi quadri, specie quelli che ritraggono i bambini, è molto accurato.
L'altro particolare che mi ha colpito è stato il desiderio di sperimentare gli accostamenti dei colori e delle forme sui quali si esercitava nelle sue nature morte: nel percorso delle mostra è quasi stridente il confronto tra due nature morte...
Una sezione della mostra è dedicata alla vita in campagna: celeberrimo il quadro in cui viene ritratta  la moglie del pittore che sta ballando con un loro amico e guarda ammiccante Renoir da sopra la spalla del compagno di ballo, sorridente e allegra con il cappello rosso e il guanti gialli che sembrano illuminare la tela e che mi hanno inchiodato ad osservare questa giovane donna per almeno dieci minuti.
Accanto a questo vi è un altro quadro di euguali dimensioni in cui viene ritratta una coppia che danza in una sala da ballo in città... il contrasto è fortissimo: la posa è rigida, non c'è nessuna sfrenata allegria e anche i colori, molti più freddi, contribuiscono a rendere l'atmosfera decisamente formale.
Per nulla formale, invece, è la fanciulla che si dondola sull'altalena sotto le fronde di un grande albero, illuminata dai raggi del sole che penetrano nel fogliame fitto...
L'ultima parte della mostra è dedicata ai nudi femminili che sono anche un omaggio ai grandi pittori italiani che Renoir aveva conosciuto tramite il Louvre e il suo unico viaggio in Italia: Tiziano fra tutti.
Queste donne così opulente sono ritratte sdraiate su letti sfatti o dopo aver fatto il bagno e sono un tributo ad una femminilità esplosiva senza falsi pudori... mentre le guardavo pensavo alla differenza con le modelle delle riviste patinate di oggi: così magre, prive di curve quasi efebiche in una negazione assoluta del corpo femminile maturo, portatore di vita, di gioia e sensualità nel suo molle abbandono.
Come donna mi sono sentita amata e coccolata... da un pittore morto cent'anni fa!
 
GAM di Torino
Dal 23 ottobre 2013 al 23 febbraio 2014
Lunedì chiuso - dal Martedì alla Domenica dalle ore 10 alle 19.30 e il Giovedì fino alle 22.30

lunedì 4 novembre 2013

Un matrimonio inglese

Continua la mia passione per le autrici di lingua anglosassone cadute nel "dimenticatoio" e riscoperte dalla casa editrice Astoria: questa volta è il turno di Frances Hodgson Burnett autrice di capovolavori per l'infanzia quali "Il piccolo lord Fontleroy" o "Il giardino segreto" che però ha anche scritto diversi romanzi per adulti che sono stati riscoperti di recente.
La Burnett emigrò in America con la famiglia e, in seguito alla fama acquisita con la pubblicazione delle sue opere, potè tornare in Inghilterra: in questo modo riuscì a conoscere bene le realtà sociali al di là e al di quà dell'Oceano.
In "Un matrimonio inglese" (in lingua originale "Shuttle") il tema del confronto fra le due culture, quella americana e quella inglese, è portante nella struttura del racconto a volte un poco ripetitivo nella descrizione dei diversi caratteri ma, in effetti, l'autrice riesce in questo modo a spiegare un'epoca nella quale una nascente potenza economica, gli Stati Uniti, nasceva e si sviluppava grazie all'entusiasmo e alla determinazione di un popolo "giovane" che aveva bisogno di riscattarsi dalla dipendenza della madrepatria e che realizzava le sue ambizioni attraverso una tenace ricerca di un'affermazione economica.
L'entusiasmo del nuovo si scontra con la tradizione della vecchia Europa che con i suoi titoli nobiliari, pur privi di un effettivo patrimonio, e la sua storia sono ambiti dai nuovi ricchi, dall'alta borghesia americana a sugello della propria affermazione; ecco da quali sentimenti nacquero i matrimoni tra i ricchi americani e i nobili inglesi ed ecco l'inizio della trama del libro: una giovanissima e influenzabile donna americana Rosalie, erede di un enorme patrimonio, contrae un matrimonio con un nobile e squattrinato lord inglese e con lui parte alla volta del vecchio continente ma il carattere debole e ansioso di compiacere di lei si scontra con una mentalità meschina di un uomo privo di scrupoli o di senso morale che usa la sua disapprovazione e la violenza psicologica, oltre che fisica, per annientare la moglie e costringerla a cedergli la gestione della propria rendita allontanandola dalla famiglia di origine.
Il senso di inadeguatezza di lei, la sua confusione di fronte ad una durezza che nella sua vita agiata di figlia amata e viziata non ha mai conosciuto sono descritte in modo estremamente realistico e rappresentano una realtà ancora attuale: il lettore viene come avvolto da una coperta pesante e insopportabile che è quella del maltrattamento e dell'abuso familiare. 
Passano gli anni e la sorella di Rosalie, che all'epoca del matrimonio era una bambina e che non si è mai rassegnata ad una separazione definitiva e inspiegabile, decide di chiarire il mistero di una così lunga assenza e perciò parte alla volta della tenuta in campagna del cognato per una visita alla sorella e al nipote. Il suo sgomento sarà enorme nel realizzare lo stato di prostrazione fisica e morale in cui è precipitata Rosalie vittima delle vessazioni del marito e solo la sua intelligenza e accortezza le permetteranno di aiutare la sventurata sorella.
Il lieto fine, anche un poco moralistico, in cui l'amore e i buoni sentimenti trionferanno sono un po' scontati e devo ammettere che si tratta di un romanzo il cui stile di scrittura è decisamente verboso e a tratti ripetitivo ma allo stesso tempo l'ho trovato piacevole perchè induce a rilassarsi in poltrona e a lasciarsi trasportare dalle parole che creano l'atmosfera che ti trasportano in altri tempi e luoghi... come difficilmente un romanzo storico scritto oggi riesce a fare: forse perchè non siamo più abituati ad un ritmo narrativo lento in cui non ci sia un veloce susseguirsi di accadimenti ma una paziente ricostruzione delle emozioni e della natura dei personaggi e degli ambienti in cui questi si muovono.

Un matrimonio inglese
F.H. Burnett
Astoria Editore